Resistenze innaturali: attivismo radicale nell'Italia degli anni '80 - Beppe De Sario (Agenzia X, 2009)

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Il 68 e il 77 sono anni cruciali assurti a simbolo di un ventennio di cui sono rappresentativi. E gli anni Ottanta? Essi sono orfani di un’attenzione culturale che li caratterizzi meglio dei decenni precedenti. Sono gli "Anni Ottanta" nei quali si consumarono come candele le esperienze precedenti, con tentativi per nuove partenze, ovvero un laboratorio di esperienze. Sono anche anni di grandi abbuffate, dove il termine liberale si traduce in trionfo del liberismo. Un decennio spesso ignorato o, se ricordato, spesso posto ai margini di più gloriosi anni di lotta. Anni Ottanta significano anche, nell'immaginario popolare, l’inizio del venir meno della fase di strenue resistenza.

Chi li ha vissuti da partecipante questi anni Ottanta, per metà anche il sottoscritto, sa che sebbene a margine ed in stato di nicchia controculturale, hanno saputo contribuire con elementi propri.
Se i rapporti di forza con il potere dovettero cedere terreno a favore di quest'ultimo non lo si veda come una debolezza, una perdita, ma come un ulteriore tentativo di resistenza. Proprio questo minor peso dell'ideologia dei padri, minore non assente, rende il decennio più vicino e "recuperabile" oggi rispetto alla radicalità anche violenta che lo ha preceduto.
Non una immaginazione al potere ma la creatività a casa nostra, negli spazi conquistati e difesi, per non essere fagocitati dall’indottrinamento veicolato dai media.
Si volle combattere più con il suono caotico del ritmo hardcore che con i pamphlet marxisti-leninisti ma, si sa, ogni movimento combatte con le armi che ha a disposizione, sebbene la dose quotidiana di utopia continuasse a fornire energia ideale per l'avanzamento sul duro terreno della repressione.

Quello di De Sario non è il primo tentativo di raccontarci del decennio in questione, altri sono già entrati nei dettagli singoli delle proprie realtà locali, ad esempio Philopat, Perciballi, o altri protagonisti, anche membri di bands del periodo. Non si cerchi in De Sario l'intenzione di ripercorrere tappe musicali o delineare i tratti storici della controcultura italiana del periodo trattato, questi possono essere letti tra le righe, si trova piuttosto un'analisi dell'evoluzione di realtà che dall'ingenuità iniziale approdano a movimenti politicizzati che possono considerarsi antesignani dell'odierno attivismo.
Egli ci presenta un interessante saggio che mette a confronto alcune delle più significative realtà giovanili, mettendo a fuoco le realtà urbane di tre città: Roma, Milano e Torino.
Egli usa spesso aggettivi declinati al maschile e femminile volendo sottolineare una duplice presenza di protagonismo.
E’ interessante l'apertura dei tre capitoli in cui delinea i tratti storici della città o del quartiere in cui hanno agito questa moltitudine di vite irrequiete.
L'inserimento di Bologna avrebbe permesso un completamento del quadro, mi piacerebbe credere che l’Agenzia X abbia deciso una trattazione separata.

Il Forte Prenestino è il primo modello d’analisi con la sua storia, l'evoluzione, gli scontri ideali, quindi il passaggio dalla seconda alla terza generazione, quando l'hip hop, meglio le Posse trovarono il proprio canale espressivo chiudendo definitivamente la stagione del punk hardcore, almeno in termini di rappresentatività generazionale.
Si è avuto un prezzo da pagare nella mancata autoproduzione del reddito, cadendo nelle maglie del sistema economico per il quale, come unica alternativa nel "post fallimento 77", è stato necessario lavorare.
Inoltre, sebbene il collante tra generazioni sia la memoria storica con il recupero di precedenti pratiche ed esperienze, ci furono fenomeni di cesura che minarono la continuità controculturale.
Le dinamiche sociali alimentarono negli anni Ottanta un desiderio che nel decennio successivo si affievolisce, non per colpe dei singoli.

Della realtà milanese De Sario coglie l'aspetto anticipatore, creativo, verso una lenta ma decisa politicizzazione con caratteri peculiari, distante dalle precedenti Autonomie e guadagnandosene una propria, dopo un periodo di "apprendistato" contaminandosi con la Londra punk anarchica post '77.
Anche Milano pagò il peso della la vecchia ideologia che gravava sui tentativi di costruzione di una controcultura vicina a realtà più europee. I punx e le "creature simili" si guadagneranno con fatica quello scantinato poi battezzato Helter Skelter, ben impresso nella memoria di me stesso, vero laboratorio di sperimentazione controculturale, di decenni spinto in avanti rispetto a coloro che avrebbero immaginato il nuovo millennio guidato da un politburo di fantasmi. Fu una occasione persa, la controcultura alla guida della Milano non allineata; rimase una nicchia, forse sarebbe non del tutto comprensibile ancor oggi da coloro che sono sopravvissuti alle macerie del terremoto di Berlino dell'89.
Ma Milano in tal senso era una città liberata, il capitolo su Milano è quasi avvincente nel raccontare l'evoluzione controcuturale del movimento radicale, celebrando le vicende legate a Virus, Helter Skelter, Cox 18, Shake, che ritroviamo oggi in Agenzia X.
Certamente un grosso limite delle attività controculturali è la vastità di microcelle che a volte, più che agire per una causa comune, si impegnano per sottolineare la loro autonomia.

A Torino le difficoltà della mancanza di punti di aggregazione emerse come elemento distintivo, a cui risposero inizialmente le fanzine. Poi l'influenza della musica portò all'organizzazione del primo concerto punk nell'82, "Contro la disperazione urbana".
Confrontata con Roma e Milano figura come una realtà provinciale che doveva giungere a maturazione.
Anche a Torino l'hardcore si frappose tra un punk nichilista ed uno politicizzato. De Sario ci presenta qui un'analisi approfondita dell'hc, con l'aioutodi M.Mathieu e Mungo, rispettivamente di Negazione e Declino. Torino, la città senza un retroterra politico di lotta, si irrigidiva in uno scontro diretto con le istituzioni, con il bisogno di colmare un vuoto di spazi, in altre città presenti ed autogestiti.

De Sario giunge quindi ad una interessante e importante sintesi delle esperienze di autogestione degli anni Ottanta. La sua analisi permette di possedere una chiave di lettura per decifrare diversità locali, analizzando tre realtà, le più importanti.
Inserire questo testo nel proprio archivio controculturale è come coprire un buco apertosi da tempo nella propria libreria.
Come detto in precedenza non ci si attenda una ricostruzione dettagliata dei fatti, un elencazione di luoghi, protagonisti, episodi, spazi che hanno caratterizzato gli anni in questione.
De Sario utilizza solo alcuni di questi elementi per compiere il suo studio, a volte anche con un linguaggio che lo rende adatto a studenti di corsi di Cultural Studies.
Nel complesso è un testo essenziale per il reduce degli anni Ottanta che vuole ripercorrere il proprio vissuto, cercando elementi che si era perduto strada facendo, oppure a chi si è perso qualcosa perché in quegli anni galleggiava nel liquido amniotico.

ALCUNE FOTO TRATTE DALLE 36 PAGINE IN APPENDICE

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